La Napoli dei “pazzi”: prima, durante e dopo il razzista Salvini

 

Quando a Goro decine di cittadini hanno alzato barricate contro 20 donne e bambini migranti il mood mediatico era per la “comprensione” di fronte alla “paura” e al “contesto sociale”. A Napoli, invece, le barricate si sono erette contro il leader xenofobo Matteo Salvini ma la risposta “di sistema” è stata completamente opposta.

Le 5-10mila persone in piazza contro la presenza del leghista fautore della “pulizia di massa quartiere per quartiere” hanno determinato la nuova anomalia di una città che, dieci anni fa, fu la prima a ribellarsi contro i business dei rifiuti e del disastro ambientale che colpisce numerosi territori.

Giovani, giovanissimi, tre generazioni di genitori e nonni, centri sociali, comitati, insegnanti, lavoratori, disoccupati e società civica diffusa hanno risposto a una mobilitazione che durava da settimane. Un appello antirazzista ha visto l’adesione di oltre 100 tra artisti, musicisti, scrittori, docenti, giornalisti e forze sociali. Per l’occasione è stato inciso un brano con cantanti napoletani tra rapper, neo melodici e cantautori.

Contro questa mobilitazione si sono alzati “democratici” e “liberali” per il diritto di opinione e la libertà di parola. La nobilissima motivazione è stata rivolta a un personaggio che vive in tv e sui social parlando a milioni di italiani ogni giorno. Ma la posta in gioco della difesa dell’ex concorrente di “Un Pranzo è servito” è un’altra.

Prima

Il giorno precedente un vero e proprio pasticcio ha determinato l’incandescente clima a Fuorigrotta. Prefettura e Questura avevano trovato l’accordo con i manifestanti che avevano occupato la sede della Mostra d’Oltremare. A dare man forte agli antirazzisti è stato il sindaco Luigi de Magistris che si è schierato con i centri sociali rincorrendo il dualismo tra gli spazi occupati e il leader leghista: un atteggiamento che si rileverà perdente per il primo cittadino.

A mettere tutti a tacere è stato il ministro “di ferro” Marco Minniti che ha creato anche un imbarazzante scontro con la Prefettura e la Questura napoletane propense a una mediazione con i manifestanti che avevano occupato la Mostra.

Il suo ordine di garantire “il diritto costituzionale” a Salvini ha esasperato il clima di tensione in vista della manifestazione. E soprattutto ha aperto una contraddizione enorme rispetto a un altro rischio per la Costituzione: il suo decreto immigrazione. Associazioni laiche e cattoliche, alti magistrati e giuristi hanno esplicitamente dichiarato di come quell’atto metta a rischio i diritti umani. Eppure non si sono sollevati i difensori della libertà individuale di questi giorni.

E la mano dura di Minniti conferma anche quanto sia utile un Salvini in questa fase: testa di legno di un’attività di governo altamente lesiva dei diritti dei migranti.

Durante

I rischi di scontri per il corteo sono nell’aria. Eppure dalle 13.30 la metro di piazza Garibaldi è affollata di centinaia di giovani e giovanissimi provenienti da tutta la regione. Una partecipazione colorata, radicale, rumorosa. È il taglio di quella mobilitazione voluta da gran parte degli organizzatori.

Qualcuno, invece, vuole quello che in gergo si chiama riot: lo scontro, la guerriglia di fronte alla militarizzazione e alla zona rossa. Due gruppi si staccano in modo confuso, non danno l’idea di essere particolarmente organizzati per sostenere lo scontro contro un vero e proprio esercito di blindati. Entrambi i gruppi non sono black bloc: un’altra invenzione dovuta semplicemente al colore di alcune felpe.

Al di là delle retoriche scandalizzate le dinamiche di piazza hanno una loro storia. Ci sono quelli che di fatto restano a fronteggiarsi con lancio di petardi, sassi e bottiglie (non molotov, invenzione di qualche testata ripresa poi da tutti). E poi ci sono quelli che alcuni colleghi hanno identificato come appartenenti alla militanza da stadio con il vessillo del Regno delle due Sicilie: quelli che hanno aggredito a sprangate alcuni giornalisti.

A pagarne le spese, ovviamente, è tutto il corteo che ricompatta su via Leopardi dove viene caricato in maniera massiccia da decine di blindati e idranti che di solito sono usati per capi di governo o di vertici internazionali. A terra restano feriti da una parte e dall’altra, tra cui 6 reporter e 2 manifestanti arrestati che saranno processati per direttissima.

Dopo

Napoli diventa l’anomalia, la “pazzia” con i pulcinella “violenti”. Sotto torchio finisce Luigi de Magistris che dopo aver preso posizione con i centri sociali diserta la piazza avendo annusato aria di scontri: un errore politico clamoroso, come sindaco e come leader del suo movimento politico. C’è chi invoca le sue dimissioni, chi come Bassolino dice di “non aver fatto il sindaco”. In realtà il problema è come lo fai il sindaco: alla Bertinotti con il suo “di lotta e di governo” del 2006-2008 o alla Espedito Marletta, sindaco di Acerra che era in prima linea a farsi manganellare contro l’apertura dell’inceneritore in quel 29 agosto 2004. La successiva risposta a chi lo accusa, poi, diventa la toppa peggiore con cui prende le distanze dopo aver sostenuto il percorso di questa manifestazione.

Inevitabilmente, con l’obiettivo di mettere sotto il sindaco fuori dall’orbita dei partiti nazionali, inizia la gran cassa mediatica che annulla il senso di questa mobilitazione. Salvini diventa il “buono” e la “vittima” mentre gli antirazzisti sono unicamente dei facinorosi che hanno messo a ferro e fuoco un quartiere: i petardi napoletani fanno più rumore delle bombe carta dei tassisti romani. Il trappolone di piazzale Tecchio ha anche il merito di scoprire le carte di un sistema complessivo di opinione atto a proteggere la propaganda xenofoba e a condannare chi contesta legittimamente un leader razzista.

L’epilogo della manifestazione, però, deve interrogare anche le realtà sociali napoletane. Ad aprire il dibattito è stata Lucilla Parlato, direttore di Identità Insorgenti che è stata tra i promotori della mobilitazione e dell’appello su cui abbiamo fatto convergere decine di adesioni, con un durissimo e chiaro editoriale su certe responsabilità.

Si è assistito a un’estetica dello scontro che non sembrava interessare agli stessi protagonisti bardati e incappucciati. Lo scontro, fuori da ogni retorica o ingenuo buonismo, si mette in conto quando ci sono le zone rosse e le sfide “repressive”.

Eppure va fatta una domanda: serviva all’obiettivo di questa manifestazione? Poteva avere conseguenze politiche negative sull’ampio consenso verso questa mobilitazione? Se non interessano le risposte a queste domande vuol dire che il problema è a monte: non ci sono obiettivi strategici ma si persegue una inutile autoreferenzialità.

Epilogo

Molti hanno parlato di vincenti e perdenti. Eppure non ne vedo o comunque non è quello il nodo della questione. Quello che viene fuori è una situazione complessa, per citare Andreotti. Salvini, il populista anti-sistema, si è fatto “coccolare” dalla protezione repressiva del ministro dell’Interno del Pd. La linea editoriale a reti unificate poi lo rende vittima grazie anche agli errori del sindaco di Napoli.

Sul piatto c’è un gioco a tre fishes tra forze di governo, populisimi compatibili e radicalismo istituzionale privo di lungimiranza.

Sul terreno restano le persone. Restano quei 10mila da cui ripartire, quell’ostilità manifesta contro i seminatori di odio e la convinzione che Salvini e i suoi simili non diventano più forti quando sono contestati, a dispetto delle teorie “liberal” di certi “dem” che dicevano lo stesso su Renzi poi affondato al Referendum.

Resta una Napoli “pazza” di pulcinella “impazziti” (come titola Libero, stavolta con una inconsapevole dose razionale) perché anomali e fuori da quel controllo culturale che vuole il razzismo come nuovo arredo nelle case degli italiani tra il bon ton istituzionale e i nuovi Cie dove rinchiudere i diritti umani.

Autore: Giuseppe Manzo

Journalist, press office, social media manager, blogger, author

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