«Ho fatto una cavolata. So di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia». Queste le parole pronunciate da Antonio Di Marco, 21 anni, studente, aspirante infermiere che ha progettato la tortura e poi l’uccisione di Daniele De Santis ed Eleonora Manta a Lecce.
Ex coinquilino dell’appartamento dove Daniele ed Eleonora avevano deciso di vivere insieme e Di Marco ha barbaramente massacrato questo sogno di vita e di amore. “Era schivo, educato”, salutava sempre si potrebbe aggiungere quando un criminale senza scrupoli esce allo scoperto. Non ha nessun precedente, nessuna segnalazione ai servizi sociali o di salute mentale. Ha continuato la sua vita in modo normalissimo dopo le decine di coltellate inferte alla coppia con una brutalità inaudita.
Non chiamatela follia, non esiste alcuna giustificazione “di contesto” ma è solo ciò che ci circonda. È intorno a noi, in mezzo a noi. È il subumano della porta accanto, di chi condivide la stessa casa, palazzo, luogo di lavoro o di studio. È la barbarie delle relazioni umane che si è innescata come una bomba e mette in conto, citando Eduardo, “il delitto nel bilancio familiare”.
“Ho fatto una cavolata”, dice Di Marco. No, ha commesso un crimine efferato solo perché due persone erano felici e volevano vivere una vita insieme spezzata dall’odio subumano del ragazzo “educato” che salutava sempre.