Giuseppe Manzo – Per chi è nato nel 1979 il mondiale ’82 di Spagna non lo ha vissuto dal vivo. Ne ha vissuto, però, il mito costante da bambino, dai racconti dei genitori e degli adulti lungo quegli anni ottanta. Quella fu la nazionale che sostituì nel cuore del Paese quelle del mitico 4-3 alla Germania. Dopo la magra figura dei mondiali dell’86 in Messico e in vista di quelli di Italia ’90 la nazionale italiana erano ancora Conti, Cabrini, Tardelli, Scirea e lui: Paolo “Pablito” Rossi.
Il numero 20 mingherlino e fermo per un anno dopo il caso calcioscommesse su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo, salvo quel vecchio friulano di Enzo Bearzot. Le cronache di quelle partite venivano riproposte sui giornali e in tv (il web non esisteva ancora). Lo scatto contro il Brasile, il colpo di testa contro la Polonia, il gol dell’1-0 nella finale vinta contro la Germania.
Erano racconti che si tramandavano alimentando il mito della maglia azzurra, Rossi l’eroe che veniva dalla polvere nonostante avesse vinto tutto con la Juve di Agnelli. E fu in questo mito che ispirò chi, nato nel ’79, si trovò a fare l’esame di scuola elementare nel mese dei Mondiali del ’90 e in quel tema raccontò tutta quella leggenda calcistica di 8 anni prima. Un racconto così appassionato e preciso che la maestra fece leggere il tema al custode della scuola poiché non ne capiva nulla di calcio.
Questo fu il mito di Paolo Rossi per chi non lo aveva visto in campo. Fu questa la squadra che in campo riuscì a unire il popolo italiano all’indomani degli anni di piombo facendolo esplodere di gioia: Pertini, il partigiano presidente, che si alza davanti al Re di Spagna ed esulta senza remore. Lo stesso presidente che giocava a carte con il Ct e con Franco Causio sull’aereo. Fu una gioia che non può essere nemmeno paragonata a quella del 2006 in Germani. Erano altri tempi per il calcio e per il Paese, un mito reso possibile grazie ai gol di Pablito.