
Giuseppe Manzo – A Scampìa gli abitanti del Lotto P dovevano rimanerci 15 anni dopo la ricostruzione post terremoto: di anni sono passati 35. Si sentono completamente abbandonati dalle istituzioni in quelle case alle spalle di via Ghisleri e via Cupa Perillo.
Vivono in edifici fatiscenti tra infiltrazioni e atavici problemi di infiltrazioni. Da un anno e mezzo hanno costituito un Comitato e hanno deciso di fare da sè. Giovanni e Agostino raccontano e mostrano i cortili e le aiuole che sono state ripulite da cumuli di siringhe laddove si andavano a “bucare” decine di disperati delle dipendenze.
Hanno eliminato una discarica a cielo aperto e hanno creato un orto che viene condiviso con gli abitanti del rione, tanto che Agostino si è beccato una denuncia dopo aver piantato alberi e verde coltivando anche i limoni. E ancora hanno messo a posto panchine tra pali della luce distrutti e creato tavolini di legno dove potersi riunire. Intorno è il deserto di servizi dove “un’autombulanza arriva dopo mezz’ora perché il presidio più vicino è il San Giovanni Bosco”. E spiegano come pochi giorni prima “un anziano colpito da infarto è deceduto nell’ascensore dopo che aspettava i soccorsi da 25 minuti”. Un episodio che richiama quello della giovane donna rom di 32 morta in attesa di un’ambulanza nel vicino campo rom zona rossa. Quasi a dimostrare che l’esclusione e l’emarginazione non fa alcuna distinzione nei sobborghi della periferia.
In questi palazzi si affacciano solo associazioni come Chi rom…e chi no con le sue attività per i bambini mentre solo “il consigliere municipale Claudio Di Pietro si è fatto vivo, poi non abbiamo mai visto nessuno”. Come Comitato ora chiedono risposte e interventi perché si sentono invisibili tra paura e pregiudizi: “siete giornalisti e siete venuti qui, mica vi è capitato qualcosa?”, raccontano ai cronisti. Ed è alla stampa che chiedono di fare da megafono a una parte della città dove le uniche braccia alzate sono quelle del grande Gesù di legno immortalato nelle fiction.
Sono disoccupati, lavoratori, molti “arrangiano” e con la crisi del Covid la loro solitudine è aumentata e ora chiedono al Comune e alla Regione di avere ciò che gli spetta: una normale e civile presenza delle istituzioni come tutti i cittadini. Agli amministratori spetta la risposta, magari approfittando dei buoni propositi del Natale che da queste parti è atteso da 20 anni.