Jacopo Tauro* – È il 31 dicembre 2019 quando in Cina – precisamente nella città di Wuhan – la Commissione Sanitaria Municipale segnala all’Organizzazione Mondiale della Sanità un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota.
Dieci giorni dopo, i ricercatori cinesi compilano la carta d’identità del virus scatenante la polmonite e in una storica conferenza stampa del 20 gennaio 2020 viene confermato che il nuovo coronavirus si trasmette da uomo a uomo: è la nascita di una nuova malattia che verrà identificata con il nome di COVID-19.Per effetto della globalizzazione il virus inizia la sua corsa nel mondo diffondendosi rapidamente, tanto che l’11 marzo 2020 l’OMS dichiara ufficialmente lo stato di pandemia.
Tre giorni prima in Italia, con la registrazione di 325 casi Covid confermati, il governo cercava di porre rimedio all’emergenza con un lockdown nazionale. E’ l’inizio di innumerevoli restrizioni e chiusure generalizzate che hanno come minimo comune multiplo un vero e proprio killer silenzioso: l’aumento della sedentarietà.La preoccupazione di diffusione del virus e le misure preventive imposte dal governo fanno sì che la sedentarietà forzata diventi un vero e proprio stile di vita.
Tra le varie restrizioni, l’attività sportiva, che per molti rappresentava una valvola di “scarico” viene vietata o semplicemente “consentita nei pressi della propria abitazione e in maniera individuale”. Gli effetti sono devastanti: malessere diffuso, dolori articolari e muscolo-scheletrici, gambe intorpidite e indolenzite, aumento di peso, nervosismo da stress accumulato sono i sintomi riferiti dalla maggior parte della popolazione.
Se già in tempi normali, a prescindere dal lockdown, sette cittadini su dieci soffrivano di problematiche articolari e muscolo-scheletriche, i limiti imposti dalla quarantena forzata hanno peggiorato la situazione. Secondo una recente indagine pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, la prevalenza di casi di mal di schiena è passata dal 38,8% del pre-quarantena al 43,8% dopo il lockdown, con una crescita totale dei casi dell’11%. Un dato davvero preoccupante che va a sommarsi a quello dei dolori lamentati in altre parti del corpo come al collo (+17,44%), alle spalle (+25,41%), al torace (+74,44%) e alle gambe (+40,40%).
Ulteriore dato significativo segnalato dall’indagine è che la percentuale di persone che non hanno più praticato attività fisica è aumentata addirittura del 174%, passando dal 7,3% al 20%. Ciò manifesta in maniera eclatante la correlazione tra inattività fisica, sedentarietà e problematiche muscolo scheletriche. Infatti, chi si è ritrovato costretto a ridurre di netto i propri allenamenti o, addirittura, ad accantonare del tutto la propria pratica sportiva riscontra una perdita importante della propria forza, dell’efficienza cardio-vascolare, del proprio tono e trofismo muscolare, una minore capacità di coordinazione e di movimento.
A ciò consegue un sovraccarico articolare e del sistema muscolare e fasciale, facilitando la possibilità di insorgenza di dolore e in particolar modo di mal di schiena.Anche se finalmente ci stiamo avvicinando ad una graduale apertura delle attività (iniziano a registrarsi dei miglioramenti dovuti alla vaccinazione – si è visto come la curva dei nuovi casi risulti essere in calo soprattutto tra gli operatori sanitari, la popolazione anziana e tra gli ospiti e gli operatori delle Rsa) c’è da dire che i dati vanno contestualizzati anche alle costrizioni dettate dallo smartworking.
Sicuramente l’impatto della malattia si ripercuoterà ancora a lungo sulla qualità della nostra vita: la sedentarietà legata alle nuove misure di lavoro da casa ha fatto sì che anche la minima attività fisica, come il recarsi sul posto di lavoro, si sia ridotta drasticamente. Questo, sommato al dover stare costantemente davanti al proprio pc, assumendo spesse volte posture costrette e sbagliate prolungate nel tempo, va ad alimentare il problema.
Cosa fare allora? Risulta utile affrontare le giornate in smartworking sfruttando diverse strategie: -alzarsi spesso dalla postazione lavoro (almeno ogni 30/40 minuti) e fare una passeggiata all’interno della stanza per poi ritornare in postazione fa sì che le varie catene muscolari possano riadattarsi dopo il mantenimento di una postura prolungata per via del lavoro;- nelle pause più lunghe effettuare esercizi di respirazione (magari anche ad occhi chiusi in modo tale da far riposare l’apparato visivo) ed esercizi di semplice mobilità articolare e di stretching per tutto il corpo; – assumere una postura corretta onde evitare il classico effetto text-neck, tipico atteggiamento posturale dei giorni nostri dovuto all’utilizzo di dispositivi elettronici;- effettuare attività fisica facendo attenzione alla giusta esecuzione dei gesti motori: il consulto di un fisioterapista o di un chinesiologo fa si che si possa lavorare rispettando la giusta biomeccanica del movimento.
A volte basta veramente poco: piccoli accorgimenti che possono prevenire problematiche croniche ben più gravi che col tempo possono diventare difficili o addirittura impossibili da risolvere. Se si previene non si cura, ed è molto più semplice prevenire una malattia rispetto al curarla.
*Chinesiologo ed esperto in posturologia (nella foto in alto)