«Vorrei presentarvi un amico che è venuto a trovarmi e che mi diverte. Mi diverte perché è l’erede di un certo tipo di nonsense, di marinetterie, del surrealismo più antico. Si chiama Rino Gaetano».
È Gino Paoli che parla nel 1977 presentando un giovane astro della canzone italiana diventato poi leggenda. Salvatore Antonio Gaetano nacque a Crotone il 29 ottobre del 1950 in una famiglia originaria della cittadina limitrofa di Cutro, per sempre Rino Gaetano. Sono passati 40 anni dalla sua morte in quel maledetto 2 giugno 1981 quando perse la vita sulla Nomentana, a Roma.
Le sue canzoni sono scolpite nel tempo, passano di generazione in generazione in modo universale. Testi e musiche che fanno ballare, sorridere ed emozionare. Ha raccontato il Sud da dove proveniva, l’amore, gli ultimi e i ritratti di un Paese senza tempo.
Nella sua canzone più celebre “Ma il cielo è sempre più blu” che conta numerose cover fino a quella ultima dopo il lockdown cantata da decine di artisti Gaetano così diceva: “ci sono immagini tristi o inutili, ma mai liete, in quanto ho voluto sottolineare che al giorno d’oggi di cose allegre ce ne sono poche ed è per questo che io prendo in considerazione chi muore al lavoro, chi vuole l’aumento. Anche il verso «chi gioca a Sanremo» è triste e negativo, perché chi gioca a Sanremo non pensa a chi «vive in baracca»”.
E “a mano a mano”, urlata dagli spalti dello stadio di Crotone e inno della promozione in serie A nel 2016, il tempo sembra donare al menestrello e cantautore un beffardo successo di popolarità che lui non potrà mai vedere coi suoi occhi. I testi come pennellate che dipingono quella Repubblica festeggiata proprio nel giorno della sua morte. Come in “Io ci sto” Rino Gaetano continua a vivere e raccontare, 40 anni dopo.