IL “CANTO DEL CIGNO”: EUTANASIA TRA IL DOLORE, LA LEGGE E L’ETICA – Di Antonio Giordano

Antonio Giordano* – Se dovessimo pensare al momento della nostra morte, probabilmente tutti desidereremmo che avvenisse attraverso un ultimo, pregevole atto, come il “canto del cigno”: la metafora origina dall’antica credenza greca secondo cui i cigni, pressoché incapaci di emettere suoni per la maggior parte della loro esistenza, spieghino un canto dolce e melodioso in punto di morte.

È per questo motivo che il canto del cigno simboleggia la fine di una vita. La morte, seppure parte imprescindibile della parabola della vita, non è sempre una transizione facile e, per alcuni, presenta atroci sofferenze, al punto che, in maniera sempre più veemente, ci si interroga circa l’opportunità di poter garantire ad un individuo una morte dignitosa, lasciandogli la possibilità di decidere della propria sorte e non subire un accanimento terapeutico per il mantenimento in vita, quando speranze di vita sono pressocchè vane.

Per i malati terminali di cancro, per coloro che soffrono di malattie croniche fortemente invalidanti, ma anche per coloro che li assistono, la morte può rappresentare un’esperienza estremamente difficile: molti pazienti preferirebbero non dover subire la lenta agonia di un corpo consumato dalla malattia, l’irriconoscibilità determinata dalla sofferenza e, spesso, la consapevolezza del peggioramento progressivo.

Inoltre, molti di loro, rifiutano l’idea che i propri cari possano conservare questo ricordo di dolore e di devastazione fisica, reclamando il diritto di poter scegliere come morire, quando la morte è inevitabile sul presupposto che la medicina dovrebbe promuovere la salute ed il benessere di una persona senza voler protrarre la vita a tutti i costi.

Queste considerazioni si scontrano con riflessioni di carattere etico e religioso: per esempio, solo per citarne alcune, molti ritengono che non sia compito o privilegio dell’uomo decidere quando vivere o quando morire; altri che un medico non dovrebbe portare il fardello della responsabilità di togliere la vita ad un essere umano. Ad oggi, in tutto il mondo si cerca di legiferare in maniera appropriata sull’argomento, e diverse sono le posizioni dei diversi Stati.

In Italia esiste una legge sul fine vita del 2017 che, in sintesi, riconosce al paziente il diritto ad essere informato sulle sue condizioni di salute, sui benefici ed i rischi delle procedure diagnostiche e delle terapie, conferendogli la facoltà di rifiutare parzialmente o totalmente i trattamenti relativi, di interrompere le cure in ogni momento e di avere accesso alla sedazione profonda dopo essersi staccato dai macchinari che lo tengono in vita.

Diverso è il discorso nel caso in cui un paziente richiedesse di essere aiutato a morire. In questo caso, infatti, per comprendere le disposizioni in materia bisogna dapprima distinguere tra il suicidio assistito e l’eutanasia. L’eutanasia si distingue in attiva e passiva. Nell’eutanasia attiva, al paziente che ne fa richiesta e che risponde a determinati requisiti, il medico somministra un farmaco letale, generalmente per via endovenosa. Nell’eutanasia passiva il medico sospende invece le cure o spegne le macchine che tengono in vita il paziente.

In Italia l’eutanasia resta totalmente illegale, mentre si è avuta un’apertura verso il suicidio assistito. Nel suicidio assistito l’atto finale di togliersi la vita attraverso la somministrazione di sostanze letali è compiuto direttamente dal soggetto stesso, in modo autonomo e volontario.

Per il suicidio assistito esiste una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, in base alla quale un paziente può chiedere al medico un aiuto a morire purchè la sua richiesta soddisfi quattro requisiti: 1. il soggetto sia capace di intendere e volere, 2. abbia una patologia irreversibile; 3. siano presenti forti sofferenze fisiche e/o psichiche; 4. la sua sopravvivenza sia resa possibile esclusivamente attraverso trattamenti di sostegno vitale. Ma qual è la situazione nel resto del mondo? Dal 2002 l’eutanasia attiva è legale solo nei tre paesi del Benelux, mentre quella passiva è ammessa in India e, a determinate condizioni legali che continuano ad evolversi, in Canada, Messico e Australia. In Ungheria si può accedere all’eutanasia passiva se il paziente lo richiede e sempre se siano presenti determinati requisiti. Infine, il suicidio assistito è legale in Svizzera, ed in alcuni stati Americani, quali Washington, Oregon, Vermont, Montana e California.

*Direttore Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, Temple University, Philadelphia, USA – Professore Ordinario Anatomia ed Istologia Patologica Università degli Studi di Siena

WWW.SHRO.ORG

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