Giuseppe Manzo – Tre ragazze che lanciano una bottiglia di acido su altre due giovani in corso Amedeo di Savoia. A Qualiano il giustiziere che spara nel mucchio davanti al bar ferendo 4 persone. La 23enne a Castellammare dagli spari tra la folla. Questa è la cronaca quotidiana nell’area metropolitana di Napoli a cui si aggiungono i coltelli utilizzati dai minori, le rapine, gli scippi e gli agguati dei clan. La situazione sta raggiungendo il mix esplosivo tra gangsterimo sudamericano e risoluzione armata di controversie in stile Usa.
Per il sindaco Manfredi la città non è fuori controllo e non vuole la “militarizzazione”, l’opposizione lo attacca con Catello Maresca. Secondo l’esponente leghista Severino Nappi “Napoli come Kabul, con una escalation di violenza e di criminalità impressionante e senza freni. Torno a sottolineare che il tempo è già ampiamente scaduto, e che bisogna agire con un’azione mirata e con i fatti”. E chiama in causa il ministro Lamorgese.
La soluzione non è semplice nè a portata di mano. Serve il controllo del territorio ma non è solo un problema di camorra. Sembra evidente come gli allarmi durante e dopo il lockdown trovino una vera e propria conferma: la violenza più brutale come risoluzione di qualsiasi litigio, controversia, confronto. Nessuna forma repressiva, per quanto urgente a garanzia delle agibilità sociali e urbane di chi ha la sola colpa di uscire di casa, è esaustiva. Siamo nel mezzo di un cambio di pelle di Napoli, lontana anni luce dalla narrativa “sole cuore amore” degli ultimi 10 anni e del brand attira turisti. Rendersi conto di questo, forse, potrebbe essere il primo passo per affrontare una questione oramai drammatica come un’onda anomala pronta a travolgere la città.