Giuseppe Manzo – Il minuto è il 93. Da Antonio&Antonio sul lungomare siamo tutti in piedi, una macchia azzurra pronta a esplodere. Alle 22.37 l’arbitro fischia: il Napoli è campione d’Italia. Un boato nella sala, trombe e i primi fuochi. Taisia, prima di essere in diretta tv, ha gli occhi lucidi dall’emozione del suo primo scudetto che ha vissuto anche per gli occhi del suo papà Vittorio.
Osimhen al minuto 52 ha cacciato via quell’estenuante attesa che temevamo dover replicare dopo il vantaggio friulano nel primo tempo. A Udine si sente solo Napoli e sono solo i napoletani a cantare. Poi la fine e finalmente il terzo scudetto cucito sulla maglia dopo 33 anni in un’altra sera di maggio come nel 1987. Esplode lo stadio Maradona dove 60mila persone si sono riversate davanti ai maxischermi.
Per le strade c’è una marea azzurra che si muove dal lungomare e dal centro storico. Ci sono i veterani dei primi due scudetti, scatenati e coscienti di poter rivivere questo trionfo che nessuno aveva pronosticato. Ci sono i bambini, i 18enni, i ventenni nati negli anni duemila. Sono increduli: “i nostri genitori ce lo hanno raccontato e noi lo stiamo vivendo, non ci posso credere”.
Piazza del Plebiscito è un vulcano di fumogeni e bandiere, il boato dei petardi fa colonna sonora insieme ai cori e alle canzoni mentre migliaia sono in cammino e arrivano nella grande piazza. Poi ci sono le canzoni di bar e locali addobbati a festa come i display delle pensiline Anm che salutano i campioni d’Italia.
Davanti al San Carlo ci sono famiglie e ci sono ragazzi che sono pronti a esultare davanti alla telecamera per la diretta tv. Alcuni si muovono con un grande striscione mentre a decine hanno scavalcato le inutili transenne per salire sulla fontana del carciofo.
Sembra di appartenere a un rito collettivo, pagano e devoto a un valore materializzato in una maglia che parla però al mondo. Da Milano a Tokyo, da Torino a Buenos Aires passando per Istanbul si festeggia in tutto il pianeta. Esultano coreani, nigeriani, georgiani, argentini e messicani. E ancora polacchi, slovacchi e kosovari. Come potevano impedire i festeggiamenti dei napoletani nel mondo? Ci hanno provato a Udine con un gruppo di stolti esaltati che cinghia in pugno hanno aggredito i napoletani a fine gara. Ci hanno provato a Varese e in qualche afratto di provincia. Non ci sono riusciti perchè Napoli abita nel mondo intero e in questa notte di festa ha dimostrato quanta civiltà possa donare quando si riversa in massa per le strade. E non c’entra nulla un omicidio di camorra con la festa perché quelli avvengono da sempre in ogni momento dell’anno.
Questa è la vittoria di De Laurentiis e della società con il ds Giuntoli, di Luciano Spalletti e della sua squadra che ha dato spettacolo da agosto a marzo fino a resistere nell’ultimo mese per mettere il sigillo finale. Il Napoli ha centrato il traguardo storico dei quarti di finale di Champions League, eliminato solo dalla sfortuna, dall’inesperienza e dall’arbitraggio.
A 3 anni dalla pandemia e a uno dalla guerra in clima sociale difficile e grave il calcio ha donato un momento di appartenenza. Ieri chi camminava per le strade di Napoli alle 3 di notte non aveva percezione di pericolo o insicurezza. La città ieri sera aveva gli occhi di due bambini che in Kvara e Osimhen hanno eletto i loro nuovi eroi. Protetti entrambi lassù da quel D1OS umano che su scudetto del Boca, coppa del mondo dell’Argentina e trionfo del Napoli forse ha messo la sua mano de djos. Abbiamo un sogno nel cuore e lo abbiamo realizzato: Napoli campione d’Italia 2023.